In Gazzetta il Decreto Dignità
È stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 161 del 13 luglio 2018, il decreto legge n. 87/2018 – cd Decreto Dignità – in vigore dal 14.7 u.s.
Fonte: Lavoro Facile
Il decreto legge, ha modificato, in parte, la disciplina del contratto a tempo determinato e quella relativa alla somministrazione in materia di lavoro.
Sul piano dei licenziamenti viene aumentato del 50% l’indennizzo per i lavoratori ingiustamente licenziati. In caso di licenziamento ingiusto, l’indennizzo per il lavoratore può arrivare fino a 36 mensilità.
Al fine di contrastare l’uso improprio degli incentivi statali viene previsto che chi sfrutta lo Stato, prendendo soldi pubblici e delocalizzando anche in Stati UE, deve restituire tutto fino all’ultimo centesimo, più gli interessi.
Inoltre per chi delocalizza fuori dall’Unione europea, scattano anche le sanzioni fino a 4 volte l’importo ricevuto.
Invece chi licenzia entro 5 anni da quando ha ricevuto un aiuto di Stato finalizzato a garantire determinati livelli occupazionali, deve restituire il beneficio o tutto o in parte.
Lavoro a tempo determinato (art. 1)
Durata – Viene modificato l’art. 19 del D.Lgs. 81/2015 prevedendo che il datore di lavoro possa stipulare con un lavoratore, liberamente (ossia senza le causali), comunque entro i vigenti limiti numerici (20% oppure altro limite fissato dai CCNL), il primo contratto a termine, purché abbia una durata non superiore a 12 mesi (proroghe comprese).
Se il contratto che si vuole stipulare ha una durata superiore a 12 mesi, comunque non oltre 24 mesi, ovvero venga rinnovato (anche se il precedente contrato era di durata inferiore a 12 mesi), è necessario indicare una delle seguenti causali:
– Esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività. Ad esempio, appalto ad un’azienda di pulizie a cui venga richiesto anche di sistemare l’archivio aziendale (attività estranea all’ordinaria attività).
– Esigenze sostitutive di altri lavoratori. Ad esempio assumere a termine per sostituire una lavoratrice assente per maternità, malattia, ferie, ecc.
– Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’ordinaria attività. Ad esempio acquisizione di una commessa temporanea non programmabile alla quale non si possa far fronte con l’ordinario organico.
Come sopra precisato, la durata massima del contratto a termine (compresi proroghe e rinnovi) è stata ridotta da 36 a 24 mesi.
A tal proposito il Decreto Dignità modifica anche il comma 2 dell’art. 19 del D.Lgs. 81/2015 che prevede che “Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i 24 mesi (prima della modifica erano 36 mesi)”.
Ciò significa che i CCNL possono derogare il limite di 24 (occorre che venga precisato se la durata attualmente prevista dai CCNL possa continuare ad essere applicata).
Il citato art. 19 continua stabilendo che “Ai fini del computo di tale periodo (ossia massimo 24 mesi) si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato”.
Rimane confermato che “se il limite dei 24 mesi (in precedenza 36 mesi) viene superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento”.
Resta salva la gestione flessibile del termine (art. 22) e la possibilità di stipulare un contratto a termine presso l’INL (art. 19, c. 3).
Forma – Viene modificato anche il comma 4 dell’art. 19, seppur confermando che il contratto deve essere stipulato per iscritto, a meno che abbia una durata non superiore a 12 giorni, e che una copia deve essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.
In ogni caso, si ricorda che se si vuol far valere il patto di prova, questo deve essere il contratto deve essere consegnato prima dell’inizio della prestazione lavorativa.
La novità adesso (conformemente a quanto indicato nel nuovo comma 01 dell’art. 21), è che l’atto scritto (quindi, quando la sua durata è superiore a 12 giorni), in caso di rinnovo, deve indicare una delle causali sopra citate.
Ad esempio: abbiamo stipulato un contratto di 3 mesi. Dopo avere fatto trascorre un periodo di 10 giorni (c.d. Stop and go) stipuliamo con lo stesso lavoratore un nuovo contratto per altri tre mesi. Nell’atto di rinnovo dobbiamo indicare le causali.
Invece – altra novità -, se il contratto viene semplicemente prorogato, l’indicazione delle causali è necessaria soltanto se il termine complessivo supera i 12 mesi.
Esempio: il primo contratto dura 10 mesi. Lo proroghiamo di altri 3 mesi, per un totale di 13 mesi. Nell’atto di proroga dobbiamo indicare le causali. Mentre se il primo contratto aveva una durata di 5 mesi e lo proroghiamo di altri 5 mesi, nell’atto di proroga non dobbiamo indicare nulla.
Proroghe e rinnovi – Il nuovo comma 01, inserito nell’art. 21 del D.Lgs. 81/2015, è dedicato a “proroghe e rinnovi”.
In particolare, il contratto può essere rinnovato solo a fronte delle esigenze di cui si è detto sopra. Invece, il contratto può essere prorogato liberamente nei primi 12 mesi e, successivamente, solo in presenza di una causale giustificativa.
Riguardo alle attività stagionali, invece, si prevede che i rinnovi e le proroghe dei contratti a termine possano essere concordati anche in assenza delle esigenze specifiche summenzionate.
In questo articolo viene modificato anche il 1° comma secondo cui “Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 24 mesi (in precedenza 36 mesi), e, comunque, per un massimo di 4 (in precedenza 5) volte nell’arco di 24 mesi (in precedenza 36 mesi) a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta (in precedenza sesta) proroga”.
In breve, le proroghe ammesse non sono più 5, ma 4 e devono avvenire entro un periodo massimo di 24 mesi e non più di 36 mesi. Ne consegue che la trasformazione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato scatta con la quinta proroga.
Termini di impugnazione – Chi intende impugnare il contratto a tempo determinato ha 2 mesi in più. Infatti l’impugnazione deve avvenire entro 180 giorni (in luogo dei precedenti 120 giorni) decorrenti sempre dalla cessazione del singolo contratto.
Decorrenza – Le nuove disposizioni trovano applicazione ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente all’entrata in vigore del decreto nonché ai rinnovi ed alle proroghe dei contratti in corso alla data di entrata in vigore del decreto.
Somministrazione (art. 2)
Il Decreto Dignità modifica anche il comma 2 dell’art. 34 del D.Lgs. 81/2015 che nel testo originario prevedeva che “In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III per quanto compatibile, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 19, commi 1, 2 e 3 (durata massima), 21 (Proroghe e rinnovi), 23 (numero complessivo dei contratti a termine) e 24 (diritti di precedenza)”.
Adesso vengono escluse solo le disposizioni contenute nell’art. 23 e 24. Ne consegue che al rapporto di lavoro a termine tra agenzia di somministrazione e lavoratore trovano applicazione (rispetto a quanto avveniva in origine) anche le norme sulla durata massima e quelle sulle proroghe ed i rinnovi.
Tale disposizione induce le agenzie di somministrazione ad assumere a tempo indeterminato.
Disposizioni comuni (modifica alla L. 92/2012)
- In occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione, la contribuzione addizionale della retribuzione imponibile ai fini previdenziali (art. 2, c. 28, L. 92/2012) è aumentata dello 0,5% (art. 3, c. 2, DL 87/2018).
Resta fermo che il contributo addizionale in esame viene restituito (ex art. 2, c. 30, della L. 92/2012), successivamente al decorso del periodo di prova, in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato o qualora il datore di lavoro assuma il soggetto con contratto di lavoro a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine; in quest’ultimo caso, dalla restituzione viene detratto un numero di mensilità di contribuzione addizionale (rispetto al numero totale di esse) ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto a termine.
- Le nuove disposizioni sui contratti a termine, anche in somministrazione, non si applicano ai contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione per i quali continua ad applicarsi la disciplina anteriore all’entrata in vigore del decreto (art. 1, c. 3, DL 87/2018).
Licenziamenti ex D.Lgs. 23/2015 (art. 3)
Con la modifica dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 23/2015, fatte salve le ipotesi di insussistenza del fatto materiale (art. 3, c. 2) e dei licenziamenti nulli (art. 2), nei casi in cui risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei (prima erano quattro) e non superiore a trentasei (prima: ventiquattro) mensilità.
Altre novità
Limiti alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti (art. 5)
Fatti salvi i vincoli derivanti dai trattati internazionali (si fa riferimento, in particolare, all’accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio – OMC, o WTO secondo l’acronimo inglese -, concluso a Marrakech il 15.4.1994), le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio decadono dal beneficio medesimo qualora l’attività economica interessata dallo stesso ovvero un’attività analoga o una loro parte venga delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione Europea, ad eccezione degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo, entro 5 anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata. In caso di decadenza si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito.
Rientrano nello Spazio economico europeo (SEE) gli Stati membri dell’Unione europea, l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia (non la Svizzera). La base giuridica per lo Spazio Economico Europeo è rinvenibile nell’articolo 217 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (accordi di associazione).
I tempi e le modalità per il controllo del rispetto del vincolo in commento, nonché per la restituzione dei benefici fruiti in caso di accertamento della decadenza sono definiti da ciascuna amministrazione con proprio provvedimento per i bandi ed i contratti relative alle misure di aiuto di propria competenza. L’importo del beneficio da restituire per effetto della decadenza è, comunque, maggiorato di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell’aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali.Fuori dai casi previsti sopra e fatti salvi i vincoli derivanti dalla normativa europea, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi specificamente localizzati ai fini dell’attribuzione di un beneficio, decadono dal beneficio medesimo qualora l’attività economica interessata dallo stesso ovvero un’attività analoga o una loro parte venga delocalizzata dal sito incentivato in favore di unità produttive situate al di fuori dell’ambito territoriale del predetto sito, in ambito nazionale, dell’Unione europea e degli altri Stati aderenti allo Spazio economico europeo, entro 5 anni dalla data di conclusione dell’iniziativa o del completamento dell’investimento agevolato.
Resta ferma l’applicazione, ai benefici già concessi o banditi, nonché per gli investimenti agevolati già avviati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, della disciplina previgente, inclusa, nei casi ivi previsti, la disciplina di cui all’articolo 1, comma 60, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Art. 1, comma 60, L. 147/2013
Per i contributi erogati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale, qualora, entro tre anni dalla concessione degli stessi, delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato a uno Stato non appartenente all’Unione europea, con conseguente riduzione del personale di almeno il 50 per cento, decadono dal beneficio stesso e hanno l’obbligo di restituire i contributi in conto capitale ricevuti.
Tutela dell’occupazione nelle imprese beneficiarie di aiuti (art. 6)Ai fini delle nuove disposizioni, per delocalizzazione si intende il trasferimento di attività economica o di sua parte dal sito produttivo incentivato ad altro sito da parte della medesima impresa beneficiaria dell’aiuto o di altra impresa con la quale vi sia rapporto di controllo o collegamento ai sensi dell’art. 2359 C.C.
Le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che beneficiano di misure di aiuto di Stato che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale qualora, al di fuori dei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo (si dovrebbero intendere, in proposito, le ragioni dirette ad una migliore efficienza gestionale, ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, che determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di posti di lavoro), riducano i livelli occupazionali degli addetti all’unità produttiva o all’attività interessata dal beneficio nei 5 anni successivi alla data di completamento dell’investimento decadono dal beneficio in presenza di una riduzione superiore al 10%; la decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è comunque totale in caso di riduzione superiore al 50%.
Nota: il provvedimento, con riferimento all’entità della revoca parziale dei benefici in relazione alla riduzione del livello occupazionale compresa tra il 10% ed il 50%, definendo “proporzionale” tale riduzione, sembra indicare una diretta correlazione in termini proporzionali tra l’entità della riduzione di personale e la suddetta revoca dei benefici.
Vi rientrano, ad esempio:
Gli aiuti di Stato interessati dall’art. 6 del DL Dignità dovrebbero essere, in attesa di una migliore formulazione legislativa e/o chiarimenti ministeriali, quegli interventi di aiuto alle imprese localizzate in aree di particolare svantaggio economico e/o strutturale (in Italia, sono identificate dalla «Carta degli aiuti a finalità regionale», approvata nel 2014 e modificata nel 2016), per i quali sia richiesta una corretta valutazione del relativo impatto occupazionale.Le disposizioni in commento si applicano ai benefici concessi o banditi, nonché agli investimenti agevolati avviati, successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge.
- contributi a fondo perduto per investimenti in ampliamenti degli insediamenti produttivi esistenti, ammodernamenti ed aggiornamenti tecnologici, riconversione e riattivazione d’insediamenti produttivi;
- contributi in conto capitale per l’acquisizione di servizi di consulenza tesi ad ammodernare e rendere maggiormente efficiente il processo produttivo;
- incentivi per investimenti in infrastrutture, acquisto macchinari, acquisto sistemi informatici (hardware), acquisto mezzi di trasporto, acquisto immobili, locazione fabbricati, ecc.
Nota: si ritiene che dalle disposizioni in esame, concernenti la revoca degli aiuti di Stati, debbano essere esclusi i contributi concessi alle imprese entro i limiti del «de minimis».
L’iper ammortamento di cui all’art. 1, c. 9, della L. 232/2016 (investimenti in beni materiali strumentali destinati a favorire processi di trasformazione tecnologica e digitale), spetta a condizione che i beni agevolabili siano destinati a strutture produttive situate nel territorio dello Stato.
Recupero del beneficio dell’iper ammortamento in caso di cessione o delocalizzazione degli investimenti (art. 7)
Se nel corso del periodo di fruizione della maggiorazione del costo i beni agevolati vengono ceduti a titolo oneroso o destinati a strutture produttive situate all’estero, anche se appartenenti alla stessa impresa, si procede al recupero dell’iper ammortamento di cui sopra. Il recupero avviene attraverso una variazione in aumento del reddito imponibile del periodo d’imposta in cui si verifica la cessione a titolo oneroso o la delocalizzazione degli investimenti agevolati per un importo pari alle maggiorazioni delle quote di ammortamento complessivamente dedotte nei precedenti periodi d’imposta, senza applicazione di sanzioni e interessi.
Le disposizioni in esame si applicano agli investimenti effettuati successivamente al 14 luglio 2018. Esse non si applicano, invece, agli interventi sostitutivi effettuati ai sensi dell’art. 1, commi 35 e 36, della L. 205/2017, le cui previsioni si applicano anche in caso di delocalizzazione dei beni agevolati.
Art. 1, L. 205/2017
35. Ai soli effetti della disciplina di cui al c. 30 e di cui all’art. 1, c. 9, della L. 232/2016, se nel corso del periodo di fruizione della maggiorazione del costo si verifica il realizzo a titolo oneroso del bene oggetto dell’agevolazione, non viene meno la fruizione delle residue quote del beneficio, così come originariamente determinate, a condizione che, nello stesso periodo d’imposta del realizzo, l’impresa:
a) sostituisca il bene originario con un bene materiale strumentale nuovo avente caratteristiche tecnologiche analoghe o superiori a quelle previste dall’allegato A alla L. 232/2016;
b) attesti l’effettuazione dell’investimento sostitutivo, le caratteristiche del nuovo bene e il requisito dell’interconnessione secondo le regole previste dall’art. 1, c. 11, della L. 232/2016.
36. Nel caso in cui il costo di acquisizione dell’investimento sostitutivo di cui al c. 35 sia inferiore al costo di acquisizione del bene sostituito e sempre che ricorrano le altre condizioni previste alle lettere a) e b) del c. 35, la fruizione del beneficio prosegue per le quote residue fino a concorrenza del costo del nuovo investimento.
Agli effetti della disciplina del credito d’imposta per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo (art. 3, c. 1, del DL 145/2013 – L. 9/2014), non si considerano ammissibili i costi sostenuti per l’acquisto, anche in licenza d’uso, dei beni immateriali di cui alla lett. d) del c. 6, del precitato art. 3 (competenze tecniche e privative industriali relative a un’invenzione industriale o biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale, anche acquisite da fonti esterne), derivanti da operazioni intercorse con imprese appartenenti al medesimo gruppo. Si considerano appartenenti al medesimo gruppo le imprese controllate da un medesimo soggetto, controllanti o collegate ai sensi dell’art. 2359 C.C. inclusi i soggetti diversi dalle società di capitali; per le persone fisiche si tiene conto anche di partecipazioni, titoli o diritti posseduti dai familiari dell’imprenditore, individuati ai sensi dell’art. 5, c. 5, del TUIR.
Applicazione del credito d’imposta ricerca e sviluppo ai costi di acquisto da fonti esterne dei beni immateriali (art. 8)
Decorrenza – In deroga alle disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente (art. 3, L. 212/2000), la disposizione di cui sopra si applica a decorrere dal periodo d’imposta in corso in corso al 14 luglio 2018, anche in relazione al calcolo dei costi ammissibili imputabili ai periodi d’imposta rilevanti per la determinazione della media di raffronto. Per gli acquisti derivanti da operazioni infragruppo intervenute nel corso dei periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge, resta comunque ferma l’esclusione dai costi ammissibili della parte del costo di acquisto corrispondente ai costi già attributi in precedenza all’impresa italiana in ragione della partecipazione ai progetti di ricerca e sviluppo relativi ai beni oggetto di acquisto.
Resta, comunque, ferma la condizione secondo cui, agli effetti della disciplina del credito d’imposta, i costi sostenuti per l’acquisto, anche in licenza d’uso, dei suddetti beni immateriali assumono rilevanza solo se i suddetti beni siano utilizzati direttamente ed esclusivamente nello svolgimento di attività di ricerca e sviluppo considerate ammissibili al beneficio.
Disposizioni in materia di invio dei dati delle fatture emesse e ricevute (art. 11)
In riferimento alle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto effettuate (art. 21, c. 1, DL 78/2010), i dati delle fatture emesse e ricevute relativi al terzo trimestre del 2018 possono essere trasmessi entro il 28 febbraio 2019.
Con riferimento all’adempimento comunicativo di cui sopra, è in facoltà dei contribuenti trasmettere i dati con cadenza semestrale, entro il 30 settembre per il primo semestre ed entro il 28 febbraio dell’anno successivo per il secondo semestre.
Split payment (art. 12)
Le disposizioni di cui all’art. 17-ter del DPR 633/1972, non si applicano ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito ovvero a ritenuta a titolo di acconto (in sostanza, ai compensi dei professionisti).
Articolo 17-ter, DPR 633/1972
Operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società
1. Per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di amministrazioni pubbliche, come definite dall’art. 1, c. 2, della L. 196/2009 e successive modificazioni e integrazioni, per le quali i cessionari o committenti non sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto, l’imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche alle operazioni effettuate nei confronti dei seguenti soggetti:
0a) enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona;
0b) fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 per una percentuale complessiva del fondo di dotazione non inferiore al 70%;
a) società controllate, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 2), del codice civile, direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dai Ministeri;
b) società controllate direttamente o indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, da amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 o da enti e società di cui alle lettere 0a), 0b), a) e c);
c) società partecipate, per una percentuale complessiva del capitale non inferiore al 70%, da amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 o da enti e società di cui alle lettere 0a), 0b), a) e b);
d) società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana identificate agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto; con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 1 può essere individuato un indice alternativo di riferimento per il mercato azionario.
1-ter. Le disposizioni del presente articolo si applicano fino al termine di scadenza della misura speciale di deroga rilasciata dal Consiglio dell’Unione europea ai sensi dell’art. 395 della direttiva 2006/112/CE.
1-quater. A richiesta dei cedenti o prestatori, i cessionari o i committenti di cui ai commi 1 e 1-bis devono rilasciare un documento attestante la loro riconducibilità a soggetti per i quali si applicano le disposizioni del presente articolo. I cedenti e prestatori in possesso di tale attestazione sono tenuti all’applicazione del regime di cui al presente articolo.
1-quinquies. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli enti pubblici gestori di demanio collettivo, limitatamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi afferenti alla gestione dei diritti collettivi di uso civico.
1-sexies. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle prestazioni di servizi rese ai soggetti di cui ai commi 1, 1-bis e 1-quinquies, i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito ovvero a ritenuta a titolo di acconto di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. [comma introdotto dal DL 87/2018]
Società sportive dilettantistiche (art. 13)Le disposizioni in commento si applicano alle operazioni per le quali è emessa fattura successivamente al 14 luglio 2018.
Sono state abrogate la normativa contenuta nella Legge di Bilancio 2018, concernente l’introduzione delle società sportive dilettantistiche con scopo di lucro, e le relative agevolazioni fiscali previste (riduzione della metà dell’Ires).
In virtù dell’abrogazione del numero 123-quater) della tabella A, parte III, allegata al DPR 633/1972, sul fronte IVA, sono stati eliminati, tra le prestazioni soggette all’aliquota del 10%, i servizi di carattere sportivo resi dalle società sportive dilettantistiche lucrative nei confronti di chi pratica l’attività sportiva a titolo occasionale o continuativo in impianti gestiti da tali società.
Sono stati abrogati i commi da 358 a 360 dell’art. 1 della L. 205/2017, disciplinanti le collaborazioni coordinate e continuative nelle società ed associazioni sportive dilettantistiche.
È stato soppresso il riferimento alle società sportive dilettantistiche tra le fattispecie individuate dall’art. 2, c. 2, del D.Lgs. 81/2015, alle quali non trova applicazione la presunzione di lavoro subordinato per i contratti di collaborazione posti in essere.
È stata, inoltre, ripristina la normativa in materia di uso e gestione di impianti sportivi vigente prima delle novità introdotte dalla stessa Legge di bilancio 2018.
In particolare, è stato novellato l’art. 90, c. 24-26, della L. 289/2002, modificato da ultimo dall’art. 1, c. 361, della L. 205/2017, che aveva individuato, relativamente all’uso e alla gestione di impianti sportivi, le società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, nonché le associazioni sportive dilettantistiche, quali interlocutori privilegiati degli enti territoriali.
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